Arpad Weisz è stato un buon giocatore di calcio, e uno dei più grandi allenatori. Nel 1938 “il miglior mister che c’è in circolazione” è conteso dalle squadre più titolate del campionato italiano.
Il suo Bologna quell’anno è primo in classifica, ma Arpad, ebreo ungherese, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, deve lasciare insieme a tutta la famiglia il lavoro e l’Italia.
Sparisce improvvisamente da un giorno all’altro, riparando con la moglie e i due figli prima a Parigi, e poi a Dordrecht, una cittadina dei Paesi Bassi dove riprende ad allenare la piccola squadra locale. Poco dopo viene però raggiunto, e la sua famiglia divisa.
La moglie e i figli vengono deportati ad Auschwitz dove troveranno la morte nelle camere a gas di Birkenau, mentre Arpad viene assegnato ad un campo di lavoro dell’Alta Slesia.
Rimane in vita per altri quindici mesi, fino a trovare la morte, per freddo e per fame, ad Auschwitz.
LA FORMA
La narrazione corre intima e poetica, accompagnata da alcune video proiezioni e da musiche originali suonate al pianoforte. Il racconto, integrando al tema della deportazione la bellezza dello sport, appassiona un pubblico fatto di ragazzi e adulti.